CAMERABOOK – Nadine Gordimer, la First Lady of Letters: intervista alla scrittrice Laura Giovannelli

71WcB9Hbw2L__SL1500_1Lo scorso 14 luglio si è spenta nella sua casa di Johannesburg Nadine Gordimer, la scrittrice sudafricana Premio Nobel per la Letteratura nel 1991. Se n’è andata a 90 anni dopo aver combattuto l’apartheid e dopo aver portato avanti battaglie per la conquista dei diritti civili e umani. Minuta, occhi vispi, la Gordimer attraverso i suoi scritti è riuscita a parlare al cuore ed alla coscienza del mondo intero diventando un emblema di forza e coraggio. Per ricordare la sua immensa e immortale figura, abbiamo intervistato la Professoressa Laura Giovannelli, che insegna Letteratura Inglese presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa e che lo scorso ottobre 2013 ha pubblicato – edito da Le LettereNadine Gordimer, un libro dedicato a questa indimenticabile scrittrice.

Prima di tutto quando e perché ha deciso di dedicare un libro a Nadine Gordimer?

Da anni ormai ho avuto modo di occuparmi, oltre che di letteratura britannica, di quella che in ambito accademico viene spesso definita “letteratura anglofona postcoloniale”. Il Sudafrica, in particolare, ha costituito un importante campo di ricerca sin dai tempi della mia tesi di dottorato, incentrata sulla produzione narrativa di due scrittori inglesi contemporanei e sull’opera dell’artista di origini afrikaner J. M. Coetzee, Premio Nobel per la Letteratura nel 2003. L’idea di scrivere una monografia su Nadine Gordimer è nata diversi anni fa – nel 2008 – quando sono stata contattata relativamente a questo interessante progetto da una collega anglista, direttrice della collana in cui il libro è stato poi inserito al momento della pubblicazione, nell’ottobre 2013.

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Cosa ha rappresentato per lei questa donna?

Nadine Gordimer, la “First Lady of Letters” del Sudafrica, ha sempre suscitato in me un coinvolgimento intellettuale ed etico istintivo, in quanto incarnazione di un modello straordinario di coraggio e, per usare una terminologia a lei cara, di “scrittura onesta”, acuta, capace di mettere a fuoco e indagare le profonde lacerazioni di un paese come il Sudafrica, non solo nel drammatico interregno segnato da segregazionismo e apartheid, ma anche della fase post-1994, dalla “nazione arcobaleno” di Nelson Mandela e Desmond Tutu fino al Rinascimento africano di Thabo Mbeki e alla cornice più corrotta e violenta degli anni di Jacob Zuma.

Come ha vissuto la notizia della sua morte?

Gordimer ha lasciato un’impronta indelebile sia nella mia forma mentis, spingendomi verso un confronto più sostenuto con questioni storiche e socio-politiche ad ampio raggio (comprese le loro rifrazioni nella psiche individuale e collettiva, nel corso di vari decenni), sia nella sfera più intima della sensibilità e delle emozioni. Quando, alcuni giorni fa, ho appreso del suo decesso (peraltro in qualche modo preannunciato), ho vissuto quei momenti con la tristezza profonda di chi perde un’amica, un’importante figura di riferimento.

Nadine Gordimer in uno scatto del 1974 (Gallo Images)

Nadine Gordimer in uno scatto del 1974 (Gallo Images)

È corretto dire che l’arte narrativa sia il mezzo più efficace per rappresentare alla società le grandi tragedie e ingiustizie di un dramma collettivo come l’apartheid?

Credo innanzitutto sia fuorviante stabilire un’equivalenza qualitativa tra la letteratura (anche quella cosiddetta realistica o documentaria) e il documento o la cronaca storica vera e propria. Gordimer avrebbe sicuramente risposto a questa domanda in modo polemico, ribadendo la necessità di distinguere la “writer’s freedom” – la creatività che trova espressione in ambito estetico-letterario – dagli imperativi dell’ortodossia politica o, ancora peggio, della propaganda. Certo è, però, che questa scrittrice ha dimostrato in concreto come l’arte narrativa riesca a farsi specchio di una coscienza storica attraverso la rappresentazione immaginaria di vicende legate a un contesto riconoscibile e personaggi emblematici, tipici, nei quali si condensano molti tratti del popolo sudafricano (soprattutto della borghesia bianca). Altrettanto evidente è, a mio avviso, il fatto che un gran numero di lettori occidentali abbia vissuto una sorta di risveglio della coscienza leggendo i testi gordimeriani.

Cosa ha lasciato alla società la Gordimer? Qual è stato il suo principale insegnamento?

Penso che l’insegnamento risieda nella sua filosofia di vita e nei suoi principi deontologici: nella sua ammirevole determinazione a non alzare mai bandiera bianca, riconoscendo gli errori ma continuando a investigare mali e cambiamenti con il suo “occhio fotografico”. Un modo di interpretare la vita e i rapporti umani che Gordimer chiamava “ottimismo realista”, caratterizzato da un sapiente equilibrio tra l’amarezza della denuncia e momenti di speranza visionaria (nei suoi romanzi degli anni ’80 veniva già prefigurato un Sudafrica liberato dal giogo dell’apartheid).

Insieme a Nelson Mandela

Insieme a Nelson Mandela

Quanto è importante leggere Nadine Gordimer per le generazioni così digitali di oggi?

L’atteggiamento di Gordimer nei confronti prima della televisione, e poi di Internet, social networks di vario tipo, iPhone e iPad e così via, è sempre stato alquanto diffidente, perché riteneva che le generazioni più giovani si stessero pericolosamente allontanando dalla ricchezza della letteratura e dall’intero patrimonio della cultura umanistica. Unica e impagabile era per lei la lettura di un “buon libro” che si ha il piacere di sfogliare e tenere tra le mani, magari sottolineando i passi che più ci colpiscono. Proprio per questo, penso che i “devoti” del credo tecnologico troverebbero preziosi spunti di riflessione – in inglese si direbbe “food for thought” – nei commenti e nei valori difesi da quest’artista. Basti tener presente il suo impegno riguardante la libertà di pensiero e di parola, la lotta contro la censura.

Teme che esempi come il suo possano perdersi in questi tempi così veloci e superficiali?

Mi auguro che l’esempio gordimeriano rimanga ben impresso nella memoria collettiva. Ai navigatori cibernetici si potrebbe chiedere di immaginare a quale misero fiumiciattolo si ridurrebbe l’oceano di Internet se fosse in vigore un sistema organizzato di censura come quello che esisteva in Sudafrica.

La Gordimer seduta sulle sue stesse opere

La Gordimer seduta sulle sue stesse opere

Una storia come la sua merita di essere raccontata al cinema? Il grande schermo in questo senso può essere il mezzo adatto per ricordarla?

Lo hanno già fatto per il grande Madiba, con il recente e ambizioso Long Walk to Freedom (Lungo cammino verso la libertà). Sicuramente anche la storia di Nadine Gordimer si presta a una trasposizione filmica (cinematografica o televisiva). Intanto vediamo quale sarà la ricezione del film con Pierce Brosnan ispirato a The House Gun (Un’arma in casa), romanzo gordimeriano del 1998.

Qual è lo scritto di Nadine a cui lei è più affezionata e perché.

Ce ne sono molti … davvero ho l’imbarazzo della scelta. Attualmente sto scrivendo un saggio su The Lying Days, il romanzo dell’esordio e l’unico che, per quanto ne sappia, ancora attende una traduzione italiana. Forse sono affezionata di più proprio a questi esperimenti del debutto letterario, perché vi si percepisce un “tessuto grezzo” – anche se già prezioso – sul quale Gordimer avrebbe poi apportato complessi e sfumati ricami ermeneutici. Studiare questi primi testi significa condurre un’operazione archeologica di scavo in un palinsesto che, con gli anni, svilupperà ramificazioni molteplici e variegate.

Intervista di Giacomo Aricò

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