Meriggio Italiano

Meriggio Italiano

La foto mi restituisce un volto, e dal volto si risale alla sensazione che lo rivestiva in me. Ricordo un interminabile venerdì di maggio, era già caldo, benché si sa (o si suppone) fuor dell’Italia non esista primavera. Cioè: interminabile perché non volevo che finisse. A nove anni e mezzo non si ha molta esperienza di addii, però, qualunque cosa fosse quel mio desiderare un eterno pomeriggio di luce, non passava senza ricordi su di me. Sua mamma mi diceva, con voce imbarazzata, forse quasi commossa da quel mio innocente desiderio che descriveva una vita in poche ore (la fantasia poteva correre allora), che se si vuole, non ci si perde, basta essere costanti, scriversi (altro mezzo non era pensabile, si poteva sì, chiamare all’estero, ma era forse riservato agli adulti). Non ricordo se scrissi in effetti. Ma tante sensazioni non reggono il trasferimento, da quei prati già estivi nella pianura belga all’anonimo isolato romano caldo ma mai festivo, semmai afoso. E neanche il clima era lo stesso. Nella foto lo sguardo scuro è fermo, intento, forse appena leggermente ironico, cosa che probabilmente soltanto io avrei potuto capire. E lei naturalmente, quando mi sedeva accanto.

di Carlo Santulli